giovedì 29 gennaio 2009

Vespa


Vespa abitava al quinto piano senza ascensore. "Un giovanotto reduce dall'Africa, ferito e malato". Fabio e Corradino andavano a fargli visita spesso e con lui trascorrevano il tempo. Vespa non aveva aiuti dallo stato e non si sapeva di che vivesse. La sua camera era di quel disordine "di quando si vive da studenti", e ad ogni visita apriva la finestra "per rinnovare l'aria". Era da tanto che non scendeva, ed erano tante le persone che andavano da lui. Corradino continuò a frequentarlo anche dopo che Fabio cambiò città, e conobbe nel tempo qualcuno degli altri. Senza mai andare troppo in confidenza, parlando per lo più del tempo, fino a che una sera riportando una battuta colta nei suoi riguardi al bar dell'angolo, Vespa andò oltre le solite due parole e sputò fuori chi aveva in cuore: Nina, "non la ragazza del banco, quella è una stupida, Nina è un'altra"...
Cesare Pavese, Vespa da: Racconti, Einaudi Tascabili, 1994.

mercoledì 28 gennaio 2009

Il lungo viaggio


"Era una notte che pareva fatta apposta, un'oscurità cagliata che a muoversi quasi se ne sentiva il peso". Un gruppo di uomini aveva venduto tutto per pagarsi il lungo viaggio per l'America. Aveva messo insieme le proprie cose in qualche scatola di cartone e s'attendeva la partenza alla spiaggia pietrosa di Gela. Potevano dire ai parenti in America di aspettarli alla stazione di Trenton. Undici giorni e undici notti dopo: "Ecco l'America" disse il signor Melfa, "l'impresario della loro avventura". Scesero tutti tra lo stupore e la meraviglia: "E lo avete mai visto, dalle vostre parti, un orizzonte come questo? E non lo sentite che l'aria è diversa? Non vedete come splendono questi paesi?". Due del gruppo decisero di andare in avanscoperta, in strada videro un cartello stradale recitare: "Santa Croce Camarina-Scoglitti"; fermarono una macchina e chiesero per Trenton, "Trenton che?"... "Parla italiano". "Si buttarono come schiantati sull'orlo della cunetta: che non c'era fretta di portare agli altri la notizia che erano sbarcati in Sicilia".
Leonardo Sciascia, Il lungo viaggio da: Il mare colore del vino, Torino, Einaudi, 1973.

martedì 27 gennaio 2009

La lista dei 100


Un giorno il compagno Mesrob, vicedirettore incaricato della manutenzione del kolkoz, ricevette l'ordine di compilare una lista di 100 persone da deportare in Siberia, "cento innocenti il cui unico crimine è stato quello di essere nati in questo paese. Problema difficile da risolvere quando la metà dei compaesani sono adolescenti o bambini, un buon terzo parenti più o meno stretti". Ma trovò che ad aprire la lista poteva esserci il vicino che, al momento del bisogno, non aveva prestato l'ascia, o quello che non aveva risposto al saluto o quell'altro che non l'aveva invitato alla festa di famiglia... E in breve arrivò a 99. Allorché la moglie lo rimproverò accusandolo di avere nel cuore un pacco di letame: "Mi chiedo come mai tu non abbia mandato anche me in Siberia". E così trovò la centesima persona della lista.
Da: Storie di uomini giusti nel gulag, Bruno Mondadori.

lunedì 26 gennaio 2009

Il ladro


Una coppia di anziani aveva un figlio che era deciso a farsi mantenere più a lungo possibile, fino a che il padre andò dal padrone a fare un esposto. Questi disse al giovane che gli era lecito anche rubare ma che almeno non si fosse più sentito parlar male di lui. Così prima di andarsene si portò via gli stivali incustoditi del signore e li portò al padre. Il mattino dopo fu fatto chiamare e gli vennero fatte proposte di scommesse via via più vantaggiose: che rubasse dall'aratro un bue nero per cento rubli, il cavallo del padrone per duecento e infine per trecento il prete scismatico. Ognuna delle volte con l'inganno e con l'astuzia superò ostacoli e difficoltà e avviò la sua disonesta carriera, in favore di legge.

Il ladro da: Antiche fiabe russe, Giulio Einaudi Editore, 1953.

venerdì 23 gennaio 2009

Mignolino


"C'era una volta un vecchio e una vecchia. Una volta la vecchia nel tagliare un cavolo per fare un ripieno, le saltò via il mignolo; lo prese e lo gettò dietro la stufa". Sentì da lì provenire una voce di bimbo. Si spaventò e facendo il segno della croce chiese timida: "Chi sei?". Lui rispose: "Sono il tuo figliolo, son nato dal tuo mignolino". Era tanto piccolo che era difficile a vedersi. Chiese del padre, e la vecchia lo mandò al campo. Lì aiutò il vecchio ad arare, insinuato nell'orecchio del cavallo, e lo convinse a farsi vendere, che tanto avrebbe ritrovato la strada di casa. Così fece. Fu di promessa: al nuovo proprietario, alleggerito di mille rubli, fece con i denti un buco nella tasca e scappò. Per via aiutò tre ladri a rubare dei buoi, ma al bivacco venne mangiato da un lupo. Vicino ad un gregge di pecore si mise ad urlare dalla pancia del lupo per avvisare il pastorello, che non mancò di dare addosso al lupo col bastone. "Il lupo divenne magro e debole" e lo supplicò di uscire fuori. Così fece, in cambio voleva però essere ricondotto alla casa paterna. Lì si ricongiunse ai cari che del lupo fecero un pellicciotto per Mignolino. "Da allora vissero lungamente, felici e contenti."
Mignolino da: Antiche fiabe Russe, raccolte da A. N. Afanasjev, Giulio Einaudi Editore, 1953.

giovedì 22 gennaio 2009

Il resto è silenzio


Sara decide dare ospitalità a Musnida, ragazza bosniaca, a cui la guerra ha strappato via gli affetti più cari: un fratello, che era dalla parte degli assedianti e la sorella Slavenka, che per raccoglierne le spoglie su un ponte è caduta, consapevole bersaglio di cecchini. La figura di Musnida è mite, silenziosa, ritratta, sfuggente, e Sara, nonostante le incomprensioni e le difficoltà a instaurare dialoghi e stringere una relazione, si sente sempre più legata a lei. Sullo sfondo il tema della sorellanza, della reciprocità, dell'aiuto, in una doppia cornice: quella attuale sull'asse Roma-Sarajevo e di quasi due secoli e mezzo or sono con L'Antigone di Sofocle, dei cui versi il racconto è popolato. Non c'è un'idea di conclusione, ma solo d'incontro con alcune storie di donne, diversissime se non per il fatto di avere una sorella.

Chiara Ingrao, Il resto è silenzio, Baldini Castoldi Dalai editore.

mercoledì 21 gennaio 2009

La pecora nera


"C'era un paese dove tutti erano ladri". La notte ciascuno usciva, lasciando la casa incustodita e gli uni con gli altri ci si svaligiava l'abitazione. Capitò tra tanti però un uomo onesto, che passava la sera a leggere romanzi. Facendogli notare che in questo modo uno del paese l'indomani non avrebbe mangiato, si decise a uscire, ma non a rubare. Così trovò la propria casa vuota e andò rapido rapido in miseria. Da quel momento nacque "tutto uno scombinamento, c'era sempre qualcuno che rincasando all'alba trovava la casa intatta". Quelli che non erano derubati diventarono presto più ricchi degli altri, e non avevano più voglia di rubare, ma se avessero continuato sarebbero presto tornati poveri, così pagarono dei poveri che rubassero per conto loro. Così i ricchi diventarono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. "Allora pagarono i più poveri dei poveri per difendere la roba loro dagli altri poveri, e così istituirono la polizia, e costruirono le carceri. In tal modo, già pochi anni dopo l'avvenimento dell'uomo onesto, non si parlava più di rubare o di esser derubati ma solo di ricchi o di poveri; eppure erano sempre tutti ladri".
Italo Calvino, La pecora nera da: Prima che tu dica pronto, Arnoldo Mondadori Editore, 1993.

martedì 20 gennaio 2009

Coscienza


"Venne una guerra e un certo Luigi chiese se poteva andarci, da volontario". Luigi aveva un vecchio conto in sospeso con un certo Alberto, e dato che era dalla parte dei nemici, tanto valeva arruolarsi. "Disse: Adesso vado ad ammazzare un certo Alberto". Si arruolò spiegando ai compagni il motivo della sua adesione. Ma gli spiegarono che non è così che si combattono le guerre, "che lui doveva fare la guerra dove lo mettevano loro e ammazzare chi capitava". Fece la guerra come andava fatta e ammazzò tanti nemici da portare a casa altrettante medaglie, e andò, finite le belliche attività, a restituirle alle famiglie dei defunti nemici. Fu per strada che finalmente incontrò Alberto. E lo uccise. Ma "fu la volta che lo arrestarono, lo processarono per omicidio e lo impiccarono. Al processo badava a ripetere che l'aveva fatto per mettersi a posto con la coscienza, ma nessuno lo stava a sentire".
Italo Calvino, Coscienza da: Prima che tu dica pronto, Arnoldo Mondadori Editore, 1993.

lunedì 19 gennaio 2009

Donna spergiura


Iluminada viene da Cuba e sposa un francese: Jacques. Lascia Cuba e la sua disincantata semplicità e si tuffa in una fredda città in cui le commesse sono razziste, le persone spilorce e la suocera la riabbiglia, perché non sembri una clochard... "Ma non preoccuparti, qui sto bene. Jacques è buono e mi rispetta" scrive all'amica Yanai, a cui sconsiglia di sposarsi con il ragazzo spagnolo, consiglio che valse poco dal momento che pensarà lui a congederla con una cartolina e venti dollari. Quando Iluminada a dicembre torna all'Avana col suo Jacques ritrova Yanai, la madre, la nonna e il lungomare su cui è cresciuta, pronta ad afferrare l'impalpabile nostalgia di tutti loro pochi giorni dopo, alla ripartenza.
Marylin Bobes, Donna spergiura da: Rumba senza palme né carezze, Universale Economica Feltrinelli.

venerdì 16 gennaio 2009

La collana della regina


Una collana di perle. La sua ricca proprietaria, una serata affogata nell'alcool, e un litigio con l'amante al mattino. Il bisticcio finito in una zona incolta della periferia urbana libera il collo della sventurata. Appresso due operai al primo turno trovano il tesoro, sotto gli occhi di un osservatore disoccupato e girovago. L'amante, architetto, è disturbato sul lavoro dalla donna in affanno e torna sul luogo. Lì trova lo spettatore in attesa. Gli fa credere di avere il monile e lo conduce verso la sua fatiscente abitazione. E' proprio difronte a quella che l'architetto penserà alle sue parole ad un congresso d'urbanistica: "Non è dal palazzo ma dal tugurio, colleghi, che noi ci muoveremo per il nostro cammino..."
Italo Calvino, La collana della regina da: Prima che tu dica pronto, Mondadori, 1993.

mercoledì 14 gennaio 2009

Perché il piccione tuba e il passero cinguetta


Un passero e un piccione volavano insieme verso il Tibet, quando si fermarono a riposare sul tetto di una gher (abitazione tipica dei Mongoli). Prima di ripartire sentirono un lamento di donna provenire da una casa. Il piccione volle fermarsi a dare soccorso alla donna, il passero invece non arrestò la sua corsa alla volta della scoperta dei lama e delle loro abitudini. Si incontrarono il mese successivo ma non riuscirono più a capirsi. "Il piccione faceva un verso simile a un lamento -u-oo-u-u-o e il passero emetteva il suono: Jiir-jirr. Questo perché il piccione non poteva scordare i lamenti della donna e il passero aveva sempre sentito il jir-jir che fanno i lama quando mormorano le loro incomprensibili preghiere". Da allora i due non si intendono più.
Perché il piccione tuba e il passero cinguetta da: Fiabe della Mongolia, a cura di Michela Taddei-Santini.

La rondine e la vespa


Khan-Garid, il re del mondo alato interpellò una rondine ed una vespa. Venne loro assegnato il compito di riferire quale delle creature esistenti avesse la carne più saporita. La rondine passò la giornata "cantando meravigliosamente, scaldandosi al sole e divertendosi alquanto", la vespa non mancò di pungere chiunque le capitasse a tiro. Sulla strada del ritorno la rondine seppe dalla vespa che il primato stava all'uomo, così le portò via la lingua. E da qui il suo ronzio. Davanti a Khan-Garid solo la rondine seppe parlare e disse: "Il serpente". Per questo da allora Khan Garid si cibò solo di serpenti e a tuttoggi, che dei discendenti di Khan Garid resta solo il falco, esso ama nutrirsi di serpenti.
La rondine e la vespa da: Fiabe della Mongolia, a cura di Michela Taddei-Saltini.

lunedì 12 gennaio 2009

La favola della fine del mondo


"Nel 2000 gli uomini avevano un sacco di cose: i sonniferi, il campionato di calcio, le sfilate di moda, il silicone, i computer...".
Dialogo padre-figlio prima della nanna. Tv, aria malsana, onde anomale e pallone: le piaghe del 2000. "Cosa vuol dire anomalo?" Chiede il figlio. "Quando una cosa l'hai lasciata spadroneggiare fuori da ogni legge e regola, anzi ci hai pure fatto affari e non riesci più a togliertela dai coglioni, allora la chiami anomala".
Anomalo ogni controsenso di questo tempo e gli autogol che si segna, tanto da lasciare in eredità la terra alla specie topo, evoluta secondo le fasi: "Neanderthal, Simmenthal, Emmenthal". Spaccato contemporaneo ironico-realistico alla lente di Stefano Benni in una delle favole del Dottor Niù.
Stefano Benni, La favola della fine del mondo da: Dottor Niù. Corsivi diabolici per tragedie evitabili, Feltrinelli.

venerdì 9 gennaio 2009

Alba del veld


Un quindicenne domina il freddo, il sonno ed esce di casa prima dell'alba. Richiama i cani e prende il fucile per andare a caccia nel bush. Cammina nell'"erba che gli arriva alle spalle, tra gli alberi che stillano grosse gocce argentee". Al primo apparire del sole, viene colto da una esagerata voglia di inneggiare alla vita e si dimena e corre e urla, fino a che si ricompone difronte a qualcosa di sinistro che sente provenire da poco distante. Un'antilope fatta a brani da sciami di formiche nere si presenta come un'immagine impietosa e molesta e lo porta alla riflessione dell'inevitabilità, che "gli penetra nella carne, nelle ossa, nei più remoti meandri della mente, e glieli rode come un tarlo". Verso casa pensa a sè, al suo fucile, al giorno passato e a quello a venire quando nel selvaggio bush "si sarebbe liberato di tutti e sarebbe tornato laddove avrebbe potuto meditare in pace".
Doris Lessing, Racconti Africani, Universale Economica Feltrinelli.

giovedì 8 gennaio 2009

I cinque pulcini


Un uomo e quattro bimbi al seguito. Dopo cinque ore di treno arriva in un'osteria per un piatto di minestra e due letti ("due dalla testa e uno dai piedi ci stiamo tutti e cinque") per la notte. Il giorno appresso si sarebbero imbarcati per l'America, per ricongiungersi alla madre e all'altro dei fratellini, partiti l'anno prima per accudire il nonno malato. L'uomo andò al servizio trasporti marittimi per verificare la presenza del bastimento e "il transatlantico riposava presso la banchina dal travaglio dell'oceano, come un enorme cetaceo". Sapeva l'uomo, dalle lezioni di scuola che il mare è tre volte la terra, e pensava in confronto alla vastità di tutta quell'acqua alla fragilità dei suoi quattro figlioli. Al ritorno in osteria li trovò ancora svegli. Li invitò, prima di dormire, alle orazioni che aveva insegnato loro la mamma. Poi tutti a letto. Ma dalla camera vicina si sentiva la voce di un piccolo che recitava le stesse preghiere. Così si ricongiunsero, sulla porta di quell'umile osteria i familiari tutti e i cinque pulcini.
Alfredo Panzini, I cinque pulcini.

mercoledì 7 gennaio 2009

I due tesori


Un uomo ricco, anziano, avido: Vittorino. Una serva di 20 anni, Fotide, che diventa sua moglie e che non manca di ricordargli spesso le questioni testamentarie. Un giorno Vittorino mette il vestito buono, e in due valigie "depone uno dopo l'altro pacchi, sacchi, fasci di carte, verghe e monete". Su una carrozza raggiunge la banca principale della città, lasciando Fotide a casa, da cui gli sembra provenire un grido, ma il compito della giornata non prevede distrazioni. Svuota le due valigie in un forziere, ma al momento di chiuderlo, pare riconoscere "chiaramente una schiena bianca e grassa, profondamente solcata, mollemente snella, dai fianchi larghi e compatti, dalle gambe un po' corte e massicce, la sua Fotide. Ella mi ha seguito fin qui, si è fatta rinchiudere nel loculo per derubarmi...".
All'uscita segue un carro funebre su cui stranamente troneggia una scritta: "Alla cara Fotide, il suo Vittorino". Pensando che fosse la sua Fotide l'accompagna al cimitero, riflettendo, nel tragitto, su quanto poco l'amasse in realtà, e a come sorprendentemente avesse lasciato questo mondo per prima. Ma all'estremo saluto, dalla bara "vide spuntare qualcosa che assomigliava molto ad un foglio... Era un biglietto di grosso taglio". Non poteva fare a meno di pensare che sotto terra ci fosse il suo tesoro. Cosa ci fosse in banca e cosa in fondo alla fossa non gli fu più chiaro da allora, solo continuò a pagare regolarmente l'affitto tanto per il forziere, tanto per la fossa. Un uomo solo, due tesori...

Alberto Moravia, I due tesori da: Racconti surrealistici e satirici, Bompiani, 1980.

venerdì 2 gennaio 2009

La salsiccia


Aula di tribunale. Un uomo, una condanna pesante. Un omicida senza senno ha fatto della moglie salsicce. Una è in aula di tribunale, davanti al giudice, "che troneggia su tutti. La sua toga è nera. La barba una bandiera bianca. Seri gli occhi. Chiara la fronte. Irte le sopracciglia. La sua espressione è umanità." Tra descrizioni d'aula, imputato, accusa e difesa il tema della giustizia. Chi è veramente giudice e può emettere, sopra ogni parte, sentenze senza errori? Perché all'ultimo desiderio del condannato il giudice concede di poter avere la salsiccia? E dov'è finita quest'ultima? "La salsiccia è sparita. Il silenzio è cupo. La gente guarda il giudice supremo. Gli occhi del condannato sono spalancati. Dentro, c'é una domanda. La domanda è terribile. Fluisce nella sala. Cala sul pavimento. S'affigge alle pareti. Si rannicchia alta sul soffitto. S'impadronisce d'ognuno. La sala si dilata. Il mondo diventa un immenso punto interrogativo."
Friedrich Durrenmatt, Racconti, Universale Economica Feltrinelli.